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L’intuizione della musica in Leibniz
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L’intuizione della musica in Leibniz come espressione individuale.
Uno spostamento d’accento.



di Francesco D’Errico

Il riconoscimento e la percezione dell’arte della composizione, intesa come espressione di un sentire e di un mondo individuale e prospettico , iniziarono a farsi spazio lentamente nel mondo della musica non prima della fine del ‘400 per giungere ad una piena affermazione solo in pieno Romanticismo . Ancora nel ’500 ad esempio l’arte della composizione non era, se non raramente , un criterio esplicitamente richiesto per l’assunzione di un musicista...
La figura dell’autore, dunque, assumerà la sua chiara fisionomia nel mondo della musica attraverso un processo di maturazione più lento che nelle altre arti. A tale processo contribuirono molti fattori tra i quali possiamo individuare alcune intuizioni anticipatrici e frammenti di idee presenti nel pensiero di Gottfried Wilhelm Leibeniz.
Con la razionalizzazione della musica, con il passaggio da una visione magica e misticizzante che si ha della musica nel ‘500 a quella razionalistica del ‘6-‘700 e con l’ingresso in tale arte delle proporzioni geometrico-matematiche legate alla sensibilità secondo la nuova scienza moderna , fu messo in moto un processo assolutamente rivoluzionario. La musica venne liberata dalla sua funzione pedagogica e psicologica, cara alla tradizione medioevale , ponendo così le basi per la nascita della consapevolezza dell’autore . Consapevolezza che maturerà pienamente solo con il romanticismo . Dunque, l’originalità , il profilo individuale , sollevavano sempre meno problemi di posizione all’interno di un quadro metafisico che andava lentamente cedendo il posto alle scienze positive , anzi iniziava ad essere un pregio , tanto che quello che fino ad allora era letto come negativa anomalia singolare, cominciò a diventare un attributo positivo , ed il limite del singolo assunse progressivamente un connotato edificante , costruttivo , divenne un valore da additare ad esempio fino a stabilizzarsi nel principio di stile.
Leibniz, attento alle novità che si manifestavano nel mondo musicale del suo tempo , partecipò a tale trasformazione attraverso numerose brevi riflessioni sulla musica. Il suo contributo, mai espresso in modo sistematico, non è stato sempre lineare. La riflessione leibniziana sulla musica è infatti, decisamente frammentaria. Essa si presenta sempre senza assumere carattere fondativo ma solo esemplificativo. L’interessamento di Leibniz per la musica , però , sia sotto il profilo teorico che per ciò che riguarda la pratica strumentale , non va, letto semplicemente come un’ ulteriore curiosità intellettuale del filosofo. Le sue riflessioni possiedono infatti una propria autonomia e specificità , e se lette , non come soli spunti aneddotici che illuminano la complessa architettura del pensiero metafisico e gnoseologico del filosofo , ma anche come intuizioni su ciò che accadeva nel mondo della musica del suo tempo , ci vengono incontro ,infatti , come importanti contributi al dibattito che andava sviluppandosi sull’idea dell’autore in musica.
Va ricordato però che i frammenti di pensiero che Leibeniz ci ha lasciato sulla musica non sono sempre univoci e coerenti ; pertanto l’affiorare di intuizioni ed idee vanno ricercati con attenzione ed in parte ricomposte.
Nel ripercorrere il pensiero leibniziano sulla musica nel tentativo di ricomporne almeno in parte le tracce che possono aiutarci a meglio comprendere la figura individuale dell’autore in musica , prendo le mosse da uno dei pochissimi lavori che si sono occupati della musica in leibeniz : Lo specchio dell’armonia universale di A. Luppi importante anche per il lavoro di raccolta dei frammenti lebniziani sulla musica.
Secondo Luppi , per Leibniz “i principi regolatori dell’arte musicale verrebbero applicati in maniera più o meno inconscia da persone cui lo studio e l’esperienza maturati nel corso degli anni permettono di ritrovarsi in una sorta di immediata corrispondenza con le strutture dell’armonia e con le leggi del comporre” (1). Da tali riflessioni sembrerebbe impossibile definire una qualsiasi autonomia cosciente dell’autore inteso come individuo appartenente al mondo sensibile. Ma lo stesso Luppi sembra allontanarsi da tale ipotesi, sottolineando che in Leibniz “il prodotto dell’immaginazione e l’attività ordinatrice della ragione vengono necessariamente a convergere dando così vita all’autentica opera d’arte” (2). Dunque l’opera d’arte sembrerebbe implicare una qualche azione cosciente dell’uomo attraverso l’immaginazione cioè il riflesso del mondo esterno, percepito. Tali contraddizioni risuonano in Luppi perché già presenti in Leibniz. Esse possono essere comprese, per quanto concede la frammentarietà dello stesso pensiero leibniziano sulla musica, in modo più completo, non confondendo il piano metafisico con quello musicale, pur non rinunciando alla reciproca frequentazione consapevole. Infatti, applicare inconsciamente principi assimilati attraverso lo studio e l’esperienza può avere un significato solo se tali principi sono dedotti da un impianto metafisico cioè se essi precedono l’esperienza. Ma così non aggiungiamo nulla alla nostra conoscenza del pensiero musicale di Leibniz, legato all’aspetto sensibile , mentre continuiamo ad allargare le nostre conoscenze sulla sua visione metafisica. E’ importante sottolineare che tale slittamento continua ad essere causato , in senso tecnico , dall’ambiguo significato attribuito alla parola armonia. Essa infatti , può veleggiare sia nel mondo sensibile che soprasensibile squadernando in maniera ingannevole, le coordinate di accesso proprie del significato della musica. L’armonia intesa in senso musicale è quella scienza , simile alla matematica ed alla geometria , di cui si servono i compositori per organizzare il mondo sonoro. Essa era molto discussa e studiata al tempo nel ‘600 e Leibniz stesso pur non essendone un conoscitore nel senso tecnico se ne interessava appassionatamente da un punto di vista intellettuale essendo tale scienza assai stimolante per lui ad esempio per i suoi studi sulla Caratteristi Universale. In tal senso l’armonia diventa strumento simbolico e lingustico fondamentale per la trasmissione delle emozioni dunque un linguaggio del mondo sensibile con tutte le sue implicazioni individuali. Risulta evidente quanto sia lontano questo significato di armonia da quello di ambito metafisico ad esempio racchiuso nell’espressione armonia universale.
Detto questo , mi sembra che in uno dei frammenti leibniziani citati ancora da Luppi dove si dice di taluni compositori: “il y en a meme qui sont naturellement Musiciens et qui composent des beaux airs (…), car il y a des choses, surtout celles qui dependent des sens, ou’ on reussira plustost et mieux en se laissant aller machinalement a’ l’imitation et a’ la practique qu’en demeurant dans la secheresse des preceptes “ (3) , sembra emergere, intendendo la musica, come espressione sensibile ed individuale, la figura dell’autore come bivio tra il mondo della ragione e quello della sensibilità. Pare così che all’ordine razionale con il quale si predispone la composizione musicale, partecipi anche l’immaginazione o addirittura gli affetti. Ogni singolarità particolare, ogni individualità, sembra iniziare ad assumere uno statuto proprio. Una propria dignità. Proprio perché fuori regola , l’originalità dell’autore , l’anomalia diviene necessaria. Essa proprio come il male , come la dissonanza , però fa ancora parte di un disegno prestabilito cioè non può assumere autonomia completa. L’autore dell’opera , il compositore inizia così ad essere visto ma il suo gesto non è ancora completamente libero egli è ancora parte di un sistema che inconsapevolmente lo comprende. Ecco , però , che qui viene posto, anche se ancora in ombra , il principio dell’autore nel senso che è il soggetto a dare ordine al bello musicale ma l’ordine stesso è ancora solo razionale ed oggettivo e dunque precedente l’autore stesso.
La figura del compositore , inteso come colui il quale partecipa delle scelte estetico-espressive e non come semplice strumento ordinatore di materiali posti da un superiore ordine tra ‘600 e ‘700 , come abbiamo detto , è decisamente lontana dall’essere definita , ma Leibniz , dunque , sembra intuirne la possibilità.
In un altro frammento di pensiero sulla musica e i musicisti , una lettera ad Antoine Arnauld del 30\4\1687, egli si serve di un paragone tratto dal suo immaginario musicale per sostenere la concomitanza tra anima e corpo : “(…) c’est comme a’ l’egard de plusieurs differentes bandes de musiciens ou choeurs, jouant separement leurs partie et placet en sorte qu ’il ne se voyent et meme ne s’entendent point, qui peuvent neantmoins s’accorder parfaitement en suivant sulement leurs notes, chacun les siennes, de sorte que celuy qui les ecoute tous, y trouve une armonie merveilleuse et bien plus suprenante que s’il y auroit de la connexion entre eux”. Quello che qui è interessante è che: come Dio è creatore libero della concomitanza tra anima e corpo così lo è il compositore delle diverse orchestre o cori. Ciò non è esplicitato ma è l’ovvio sostegno del paragone (va ricordato che a quel tempo il compositore era sia colui che componeva la musica che colui che la suonava e la concertava con gli altri musicisti , non esistavano le professionalità distinte del direttore d’orchestra , del musicista , del compositore). In altri termini la figura del compositore , inteso come colui che opera libere scelte individuali , è presente nell’immaginazione di Leibniz anche se non ancora in maniera distinta.
Dunque definire il significato di individuale ,così come inteso da Leibeniz ,è di grande importanza per comprendere a pieno il posto che egli da alla musica come attività espressive dell’uomo. Questa definizione ci permette inoltre , di comprendere meglio il nuovo spessore che acquista la attività del compositore intesa come espressione autonoma ed individuale in Leibeniz.
Per tale definizione è necessario un ulteriore passaggio : comprendere il principio di limite sia da un punto di vista logico – si pensi ad esempio al calcolo infinitesimale – che emozionale.
Ritornando ad una delle celebri definizioni che Leibniz da della musica: “Musica est exercitium arithmeticae occoltum nescientis se numerar animi” (4), può tornare utile soffermarsi sul termine occulto, inteso come attributo della musica. Tale parola sembra , infatti , racchiudere più indicazioni di quanto non possa apparire ad una prima lettura , e può aiutarci non poco a meglio comprendere il principio individuale insito nella figura di autore in Leibniz.
Occulto. Perché Leibniz utilizza proprio questa parola per esprimere la propria posizione a proposito della natura della musica? Nella celebre definizione che egli da della musica: “musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi” infatti è proprio tale enigmatico calcolo occulto che determina il senso dell’intera espressione.
Il significato della parola occulto cela non poche difficoltà . Per giunta se affiancato alla parola musica sembra moltiplicare la propria multivalenza semantica. E’ la musica stessa un calcolo occulto? O è essa stessa a rimandare ad altro? O è proprio la musica espressione dei limiti invalicabili della conoscenza sensibile? O ancora, è essa stessa il limite?
Occulto , dal latino Occultis particpio passato di Occultere. Sta a significare: nascondere ; sottrarre con un velo agli occhi altrui. Gli etimologisti latini lo trassero da OB: dinanzi, contro e COLERE: venerare , rispettare. Sembra invece staccarsi da tema CAL , al quale fa capo il latino CL-AM (per CAL-AM): di nascosto, caligo: caligine. Cioè che è nascosto sotto una specie di mistero , celato , segreto .
Possiamo dunque distinguere per tale parola due significati: nascosto ai sensi , specie alla vista (dunque un significato legato alla sensibilità specificamente corporea) , oppure celato ai molti ma percepibile agli uomini di ingegno , esoterico (dunque un significato legato alla sensibilità intellettuale).
Nella tradizione latina , in Cicerone , Sallustio , Tacito , Livio , Virgilio , ecc. il significato della parola occulto che sembra emerge con maggior forza è il primo : “alqd occultum habere” (tenere segreto – Sallustio; “non occulti ferunt”; non ne fanno alcun mistero – Tacito); “si me astutum ed occultum lubet fingere (Cicerone). Cioè sembra tra i latini essere più usato il significato legato al celare così ad esempio nell’Eneide di Virgilio (autore più volte citato da Leibniz) il Pio Enea “Classem in convexo nemorum sub rupe cavata l’Arboribus clausam circuì atque orrentibus umbris l’Occulit”, (Vir. Eneide I libro v.v. 310-12). Dunque il significato prevalente sembra essere quello del celare ai sensi di qualcuno: alla vista, all’udito .
Ancora seguendo le traccie della storia del significato della parola occulto sembra che affondando le radici negli antichi , arrivi fino a Leibniz attraverso il Cusano ed il Rinascimento italiano . Dunque , la storia stessa del significato di questa parola ci aiuterà nel comprendere a fondo la posizione leibniziana nei confronti della natura della musica.
Attraverso il latino medioevale, la cultura del cristianesimo, la parola occulto assume in alcuni autori una sfumatura diversa.. In Dante occulto è anche ciò che dalla mente umana non può essere compreso, per la sua intrinseca debolezza. Così nel Convivio (II XII-5); l’uomo va cercando argento e fuori dell’intenzioni trova oro, lo quale occulta cagione presente, non forse senza divino imperio”. O anche nella Divina Commedia (inf. VII-84) in un passo in cui non a caso si parla della Fortuna: “Una gente impera e l’altra langue ‘seguendo lo giudicio di costei’ che è occulto come in erba langue”. In Dante ancora con il significato di ignoto ad una o più persone (Par. XXIV-41): “S’elli ama bene e bene spera e crede non t’è occulto perché ‘l viso hai quivi dov’ogni cosa dipinta si vede”.
Tali significati arriveranno fino al rinascimento; lentamente andranno liberandosi di quegli elementi che facevano di ciò che è occulto qualcosa di irraggiungibile per le poche forze dell’uomo. Qualcosa che necessariamente apparteneva al mondo soprasensibile e dunque estraneo alla miserabile corporeità dell’uomo. Vi è un rinnovato ritorno al significato antico di occulto. Questa parola viene accolta nella nuova prospettiva legata alla centralità dell’uomo nel mondo. Così in Leonardo Da Vinci occulto può assumere un significato anche eminentemente pratico; tra l’altro simile a quello che più sopra abbiamo visto usare da Virgilio; ad esempio: “chiaro potiamo comprendere che tutti quelli li quali si trovano assediati usano tutti quelli modi che siano atti a discoprir li occulti dello assediatore” (2-65). In Marsilio Ficino la centralità delle potenzialità dell’uomo dà in maniera ancora più evidente un significato rinnovato alla parola occulto (XXXI-965): “o sagacissimo ricercatore il quale in queste profonde selve del mondo ricerca e trova gli occultissimi passi di Dio”. E’ dunque, finalmente la tenacia dell’uomo ad essere premiata. Ciò che è sconosciuto, occulto , all’uomo non è altro che un limite da superare , uno scoglio arduo ma non più impossibile. Ancora in Ficino (6-67): “la cera fa manifesta la figura che nel suggello è occulta”. Dunque, ed è questo quel tassello importante che può dare nuova luce alla definizione leibniziana di musica , ciò che è occulto non è più semplicemente espressione di qualcosa di irraggiungibile, ma espressione di un necessario limite della conoscenza umana che funge da stimolo estensivo di essa e non da paralisi dell’azione.
Questo particolare significato della parola occulto , con sfumature assai significative, lo troviamo precedentemente, anche in un altro pensatore tedesco: Nicolò da Cusa. Il riconosciuto legame tra pensiero di Nicolò Da Cusa e quello di Leibeniz ci permette di tracciare tra i due pensatori un’inevitabile corrispondenza e di intendere ancora meglio come la musica per Leibeniz e espressione del sentire individuale.
Lo scarto tra finito ed infinito , secondo Cusano , è incolmabile con la sola logica. Con il principio del terzo escluso noi possiamo descrivere ragionamenti che prendono sempre linfa da paragoni finiti. L’incondizionato come tale è al di là di qualsiasi possibile paragone. Il Cusano, dunque, rifiuta la possibilità di concepire l’infinito mediante astrazioni logiche. Apparenze ed idee , il mondo dei fenomeni ed il mondo dei noumeni , possono mediante il pensiero , venir riferiti l’uno all’altro , ma non si mescolano mai l’uno all’altro. In tale direzione il Cusano fonda la dotta ignoranza fondandosi sulla matematica da un lato e su una delle due correnti fondamentali della teologia mistica del XV secolo: quella che si richiamava all’intelletto (di questa si serve il Cusano) e l’altra fondata sulla volontà. Entrambe le forze , intelletto e volontà , venivano lette come mezzo per unirsi a Dio.
Il sapere in Cusano è sempre relativo. In rapporto alla teologia questo concetto esprime il principio dell’ignoranza cosciente; in relazione all’esperienza il concetto del sapere ignorante. Così ora abbiamo accanto alla teologia negativa , una dottrina positiva dell’esperienza ed esse non si contraddicono reciprocamente ma esprimono in un unico modo di concepire il conoscere sotto due aspetti diversi. Dalla tradizione della teologia negativa Cusano da fondamento e forza all’esperienza sensibile. Dunque l’alterità viene riconosciuta come momento fondamentale della verità: è il solo strumento attraverso cui essa può apparire alle individualità intellettuali dell’uomo che sono comunque limitate. La verità in se stessa è irraggiungibile , può essere conosciuta solo nella sua alterità. Cusano giunge a concepire una sorta di tolleranza attiva, opposta all’indifferenza. La pluralità delle fedi , anche su questo tema Leibniz gli è vicino , non esprime più semplicemente un fatto , ma una necessità gnoseologica. Tale necessità conduce a comprendere anche le diversità tra i riti , usi e costumi che distinguono i vari popoli. L’individuo giunge ad essere così, con le sue diversità, il compimento sensibile, e per questo il solo concepibile, dell’universale. Sebbene tutta questa digressione cusanea sembri condurci lontano dal nostro tema , ci permette invece , di consolidare un aspetto nuovo all’interno del pensiero musicale leibniziano.
Se vi è una relazione tra il significato e l’uso che della parolaocculto fa il Cusano e l’uso che ne fa Leibniz, alla luce del significato dato dal Cusano è possibile dare alla celebre definizione leibniziana della musica una risonanza nuova. Cusano stesso scrive nel suo “De visione Dei”: In omnibus faciebus videtur facies facierum velate et enigmate. Revelate autem non videtur, quamdiu super omnes facies non intratur in qoddam secretum et occultum silentium , ubi nihil est de scientia et conceptu faciei”.(5)
L’occulto del Cusano è dunque , l’espressione del fatto che l’universale non può manifestarsi per quello che è ai singoli soggetti ma solo attraverso definizioni diverse ed individuali che però ne sono , per l’uomo che è limitato , la sua stessa sostanza. L’essenza dell’universale. La musica è dunque uno di quegli esercizi matematici attraverso cui dell’individualità dell’uomo , muovendo dai propri limiti prospettici , coglie l’universale. Quello che è qui interessante è che la musica è un esercizio occulto. Occulto è attributo di musica dunque sarebbe essa stessa un’attività individuale , un’attività dell’uomo e non un mero tramite per accedere all’universale ma un’espressione dei limiti dell’uomo e del valore di essi in relazione alle possibilità che esprimono per conoscere il mondo. L’uomo può , per Cusano , conoscere il mondo solo attraverso visioni individuali , che però essendo le uniche naturali e possibili dell’uomo sono il valore stesso della conoscenza dato che ne sono la possibilità. In questo senso (occulto come limite) la musica potrebbe essere intesa da Leibniz una espressione dei limiti attivi dell’uomo per avvicinarsi alla conoscenza dell’assoluto . Dunque un’attività propria dell’individuo e non un solco scoperto della natura che aiuta ad avvicinarsi all’ordine celeste con la forza dell’analogia. La musica in sostanza diverrebbe una tra le possibili espressioni individuali dell’attività umana , dunque , intesa anche come specchio ti tale individualità.
In conclusione vorrei aggiungere che per comprendere il contributo lebniziano sul sorgere dell’idea di autore in musica è necessario porre l’accento sul fatto che per Leibniz , dunque , l’esperienza musicale non è solo quella del fruitore ma anche quella di chi la musica la produce . Questo aspetto , parte integrante della cultura musicale di Lebniz è largamente testimoniato dai suoi interessamenti teorici documentati ad esempio nel carteggio con Athanasius Kircher , e dalla sua confidenza con il mondo dei musicisti rientrando nei suoi compiti anche quello di organizzare eventi musicali a corte.
In tale prospettiva , anche il significato stesso del termine armonia può assumenre aspetti molto diversi: per chi ascolta è il riflesso evidente della sapienza ordinatrice di Dio; per chi compone è uno strumento ordinatore. Quindi se nella sfera metafisica l’armonia è l’opposto del male mentre nel microcosmo umano e sensibile della musica l’armonia diventa strumento con il quale si regolamentano le consonanze e le dissonanze, il bene e il male. Dunque “ L’idea che la musica provochi un piacere di natura prettamente sensibile nel nostro animo proprio in virtù del fatto che le proporzioni numeriche armoniche che la costituiscono non sono altro che un riflesso che la superiore armonia che regna nel cosmo apre la strada ad una nuova considerazione della natura stessa della musica e dell’esperienza che della musica può avere l’uomo ” (6) è di fondamentale importanza per comprendere il pensiero di Leibniz sulla musica ma lascia fuori la visione legata al problema della genesi umana della composizione che pure lo stesso Leibniz coglie.
Se “ Il merito maggiore di Leibniz è di essere riuscito a unire e rendere del tutto compatibili (…) l’elemento intellettualistico (…) con l’elemento sensibile percettivo , e in parte inconscio , legato in definitiva alle pulsioni istintive dell’uomo ” (7) ,quando poniamo al centro della nostra riflessione il momento genetico della produzione musicale e non l’opera musicale come oggetto , possiamo intuire come la riflessione leibniziana sulla musica abbia partecipato anche al nascere dell’idea di autore in musica intendendo l’opera musicale come riflesso di una umana e sensibile esperienza individuale.




Note
1)A. Luppi, Lo Specchio dell’Armonia Universale, p. 94. 1989. Franco Angeli. Milano
2)Ivi, p. 95.
3)Die Philosophisehen Sehriften von G.W. Leibniz, a cura di Carl
Immanuel Gehrardt, Wilfred Lorenz, Leipzig 1932. VII p. 170.
(4) Lettera di Leibniz a Christian Goldbach, 17 aprile 1712.
(5) N. Cusano., Scritti filosofici, ed. G. Santinello, lat. e trad. it., vol.II Zanichelli , Bologna 1980
(6) E.Fubini, La musica Natura e Storia , 2004 p.20. 2004 Einaudi Torino.
(7) Ivi 19
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