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Identità e musica
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Laboratorio su mille splendidi soli
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L’intuizione della musica in Leibniz
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Identità e Musica

Il percorso qui esposto ha a che fare con il legame tra musica ed identità e non specificamente con l’idea di identità musicale che credo sia altra cosa.
Tutto ciò di cui scriverò prova a tenere in conto due strumenti metodologici concettuali: la relazione tra proposizioni e fatti del mondo per come viene illustrata da Wittgenstein nel Tractatus Logico-Philosophicus e il principio illustrato da Deleuze in Millepiani secondo il quale ogni linguaggio è sempre normativo ed espressione di obbedienze e non comunicativo. Ritengo infatti che queste due prospettive possono offrire rigore metodologico a scritti relativi alla musica. Altrimenti si rischia di parlare di musica come danzare di architettura parafrasando una celebre ed ironica affermazione di Frank Zappa.

Ecco un elenco di proposizioni per cominciare a riflettere:
  • L’identità musicale in una prospettiva storica.
  • L’identità musicale in una prospettiva geografica.
  • Identità musicale soggettiva ed intersoggettiva.
  • La musica come specchio di identità differenti.
  • La musica come oggetto di appartenenza identitaria.
  • La percezione del tempo soggettivo attraverso la musica.
  • Le emozioni e il tempo; il tempo delle emozioni.
  • Contenitori musicali identitari: iPod.
  • La musica come ponte tra identità differenti.

Perché, in una prospettiva identitaria, la musica è proibita in alcuni regimi fortemente autoritari (penso alla Siria ad esempio o alle parziali e radicali censure musicali praticate nei regimi fascisti o del comunismo reale)?
Tre punti per prendere fiato:
  1. Profilo identitario, quando l’identità significa anche limite, definizione.
  2. La musica è un oggetto di cui ci si appropria in molti modi. Come canale espressivo, nel senso di chi fa musica, come comunità di appartenenza, gli ascoltatori. Tutto è appartenenza identitaria.
  3. Le identità troppo forti, oppresse dal linguaggio, chiudono; non permettono aperture.

Oggi la musica è più che mai nomade (internet, iPod, ecc.), essa si presenta nell’esperienza come un oggetto multiplo. Un oggetto d’arte, sollecita emozioni, una mappa da esplorare e analizzare per il musicologo, il critico, ecc. Nell’esperienza soggettiva concentra stati emozionali, accende ricordi, sollecita temperature umorali, orienta stati empatici. In tal senso è un’esperienza identitaria.
La musica è preziosa non perché rara ma perché caduca. Sollecita ad ogni suo presentarsi lo scorrere della vita, lo scorrere. Essa si fa vita presente e vibrante. Dove ci conduce un’aria d’opera? Quell’aria, e dove porta me e dove conduce ciascun individuo a seconda del suo vissuto musicale? Dunque quell’aria d’opera è molti oggetti e può condurre in molti luoghi.
Forse l’errore è porre la musica come un oggetto. Essa non è mai un oggetto solo. Ma quando la si pone, la si immagina come un solo oggetto. O comunque è un oggetto approssimativo.
Dunque cosa è la musica? Difficile rispondere. Ma sarà necessario almeno tentare di dare qualche risposta a questa domanda. Qualcosa per procedere.

Ogni musica, o la stessa musica, può accompagnare qualsiasi immagine. Ogni testo può essere musicato in molti modi. La parola non cambia è legata al suo significato, il suono cambia pur essendo in parte un significante senza significato, questo è noto. Il suono attraversa i significati. La musica sposta il piano del significato. Ad esempio dal drammatico al comico. Di una frase drammatica cosa resta se accompagnata da una musica ironica? Viceversa. Ma il piano che scuote è il piano della musica. Anche per le immagini, come già detto, avviene lo stesso. La musica impone transitoriamente la sua forza sul linguaggio e sulle immagini. “Il linguaggio non è fatto nemmeno per essere creduto ma per obbedire, da ordini alla vita: la vita non parla, ascolta e attende”(G Deleuze Millepiani 128).
La musica dispiega costantemente, quando diventa esperienza, cioè vita, l’essere non credibile del linguaggio, la sua natura normativa e paradossalmente non comunicativa, dunque il potere di sussumere le cose dette. La musica indica sempre la via d’uscita. Essa è una possibile uscita di sicurezza. Il volo libero fuori dal labirinto, l’orizzonte della libertà inascoltabile e non comunicabile tramite il linguaggio. Il pensiero ha dei luoghi dove soggiorna prima di diventare parola, linguaggio, struttura. Questi luoghi sono abitati anche dalla musica. La poesia se ne allontana un poco ma non è ancora linguaggio. In questi luoghi vivono e resistono, ad esempio, anche i sorrisi, gli sguardi, le carezze.

La musica, dunque, si presenta come un’espressione disposta su di un piano diverso da quello significante del linguaggio. Ma questa sua posizione trasversale alla comprensione ed all’espressione linguistica, trasversale agli steccati prodotti ad esempio macroscopicamente dalle lingue diverse, non fa della musica un linguaggio superiore perché univoco. Essa è, comunque, sempre molteplice. Ogni ascolto è singolare, nella sua univocità trasversale alle lingue. Inoltre va ricordato che la singolarità di ogni ascolto è sempre pure orientata dall’appartenenza linguistica. Ogni singolarità d’ascolto è soggettiva ed intersoggettiva. La musica trasforma le immagini i luoghi, il vissuto. La musica è essa stessa queste trasformazioni. Dunque trasformazione continua e non univoca; trasforma i sorrisi, gli sguardi, le carezze, quei sorrisi specifici, quegli sguardi e quelle carezze del vissuto intersoggettivo. Dunque trasforma i luoghi: la musica è prima geografia poi storia.
La normatività di due lingue diverse come l’italiano e l’inglese, il russo e il cinese, soggiace alla trasversalità della musica. Ma la musica intesa a sua volta come linguaggio è universale solo in questa sua trasversalità dei linguaggi non in se. Ripeto, ogni ascolto è singolare non universale. Come ogni sorriso, ogni sguardo, ogni carezza.
Ancora la musica è memoria ma non storia. La storia è un prodotto del linguaggio. La memoria è il ricordo di un vissuto il racconto sentito non ancora raccontato o raccontato solo dai sorrisi, dagli sguardi dalle carezze.
L’oscillare meccanico delle danze popolari in Petruska (Strawinski), la sospensione ipnotica che suggerisce….non posso dire niente di tutto ciò! La musica non c’entra, questo è solo linguaggio. Posso però ascoltare Petruska! Magari sorriderne. Si! E non solo ascoltare, non unicamente ascoltare ma molteplicemente ascoltare. In questo procedere l’identità si squaderna e si libera per ritrovarsi e ridefinirsi al di fuori della normatività del linguaggio al di fuori di qualsiasi esercizio di potere. O almeno tenta un proprio rispecchiamento e dunque un incontro con altre identità; identità pertanto sempre smarrite ma amorevoli perché fuori da ogni esercizio di potere; l’esperienza musicale è un altro esercizio. Forse la musica è vita perchè non da’ ordine alla vita. La musica è spazio aperto, opportunità di spazio aperto e in questo senso anche smarrimento.
Ma quale idea di primavera ha ferito Strawinski con la sua Sagra? Quale idea di primavera ha smarrito? Quella di Vivaldi, quella di Beethoven? Così intrise di serenità! Che insuccesso la Sagra della Primavera nel 1913 a Parigi al teatro dei Champes Elyses!

Se il linguaggio è fatto per obbedire e non per comunicare come ci suggerisce Deleuze, attraverso il linguaggio si trasmettono solo norme. Eppure è con il linguaggio che si comunica. Allora l’unica possibile comunicazione è trasferimento di ordini e realizzazioni di obbedienze. A cosa obbedisco e cosa ordino se dico al negoziante che la scarpa destra è stretta e ci vuole un numero più grande? Al suo interesse che io acquisti delle scarpe (obbedisco), il suo andare nel retro e prendere una misura più grande (il mio ordine?). E se entrambi stiamo ascoltando Craig David in sottofondo nel negozio, o Vivaldi, o Jan Garbarek? Cambia la relazione tra ordinare e obbedire? Si aggiungono sfumature diverse nel comunicare? E intendo proprio in quel momento di vissuto specifico e diretto. L’ascolto comune orienta le nostre identità di cliente e venditore? E’ trasformata, anche solo in parte, la percezione del mio piede nella scarpa!? Ho un piede più libero meno obbediente al mondo del linguaggio? Il mio piede, quella scarpa, quel venditore. O quelle scarpe quel cliente, quel numero in più da procurare, tutto questo si ripresenta si trasforma nella traiettoria della musica in quel momento? L’evento anche quello quotidiano (l’evento è sempre minimo, è solo sempre quotidiano) si fonde al linguaggio (le parole diventano oggetti anzi creano oggetti) direttivo e d’obbedienza seguendo dispositivi precisi e predisposti secondo paradigmi preventivamente definiti perché già inclusi nelle strutture del linguaggio stesso. La musica può assumersi il carico dell’imprevisto movimento, il cavallo che scarta di lato, l’improvvisa stella cadente e luminosa, il temporale estivo, un bacio inatteso e forse neanche desiderato. La musica trasforma e tinge la percezione degli oggetti trasportati nel flusso ininterrotto del comunicare normativo del linguaggio (gli oggetti sono il flusso stesso).
Anche nell’esperienza musicale, però va detto, appaiono oggetti normativi come ad esempio la sequenza: acuto del soprano + dominante => tonica = applauso nel Nabucco di Verdi. Normativa + ironia! Quando la musica irride se stessa lascia che il tempo le restituisca ciò che la retorica dello spettacolo le ha tolto. La retorica dello spettacolo è spesso popolare ma il popolare può farsi irretire dal demagogico troppo spesso riconducendo così la musica stessa all’obbedienza e alle norme del linguaggio. Il popolare é nella moltitudine distratta e scomposta delle esperienze di vita non è nel riflesso linguistico del termine popolare e dei suoi rimandi.
Anche questo che scrivo, che leggo, che leggi, è flusso normativo ed obbedito/obbediente, pertanto linguaggio. Va criticamente musicato per avvicinarsi alla vita, per deragliare. Tutto quello che scrivo è solo approssimativo nella direzione della non-norma, non-obbediente, perché scritta perché linguaggio. Ascoltare le Suite di Handel ad esempio, adesso. Poi leggere ed ascoltare ancora o insieme. Cosa è cambiato? Ascoltare il rumore del ventilatore d’estate. Dormire.

Le neuroscienze ci suggeriscono che probabilmente l’esperienza musicale è tra le attività più complesse del cervello. In tal senso essa può essere definita un eccellente esercizio per le attività percettive e cognitive. Questo fa dell’esperienza musicale un fenomeno, proprio perché così stimolante, particolarmente creativo nel senso della percezione di se, della propria identità, su di un piano sospeso dalle determinazioni indotte dall’esperienza solo linguistica. Pertanto l’esperienza musicale è, un un certo senso, un accadimento selvaggio, non addomesticabile in quanto è un’esperienza che include in se non solo gli aspetti emotivi ma anche quelli corporei, motori, logico razionali ed affettivi. Ogni esperienza musicale non allontana le diverse identità che ogni organizzazione sociale tende necessariamente a mantenere distinte (intendo anche le identità differenziate all’interno di uno stesso e solo soggetto), ma tende ad assumerle in un solo movimento più complesso, carico di energia relazionale e probabilmente critica. Tende a riassumere il soggetto, riunendo, l’esperienza dell’identità, plasticamente e dinamicamente articolata, in una moltitudine ritrovata, lucidamente disordinata, predisponendolo inoltre all’attesa ed alla sospesione.
La musica è un dispositivo per esplorare il tempo. Ci accompagna nel prima e nel poi. Essa è sorgiva e poi si spegne. Dall’inizio alla fine a differenza di un’opera visiva che resta li. In tal senso il cinema è un’arte simile alla musica ma è ancora troppo compromesso con il linguaggio verbale. Il cinema muto, i suoi sguardi,i suoi gesti, è più vicino alla musica (Wang Jianwei,1958 vive e lavora a Pechino: My Vision Archivi, 2001, video colori e suoni). Dunque ogni momento musicale è un arco di tempo che si dispiega conducendoci fuori dall’ordinario, introducendoci nel disordinario. Un lembo di vita sotto osservazione. Puntuale. Così è ogni vita. La musica ritorna all’esperienza della nascita e della morte senza mezzi termini, senza tregua. Per questo essa ci conduce sul bordo della nostra identità definendone il profilo, i limiti. La musica scioglie l’identità dalle abitudini comunitarie acquisite e la imposta ricomponendola in uno sguardo d’insieme: identità ritrovata attraverso il molteplice. Questa identità che osserva se stessa, che finalmente si riconosce attraverso i suoi limiti, questa identità ha presente a se stessa l’arco di vita che le è concesso tra la nascita e la morte (ovviamente non in quanto durata ma in quanto finitudine), questa identità è sfuggente, mutevole. Essa è sempre trasversale alle regole: gioca da sola, scommette da sola. Questa identità inquieta l’ordine perché è essa stessa disordinata. Deraglia senza sosta deformando il binario che ne soffre e stride subendo le spinte divergenti e tensive. Ma poi presto il binario si ricompone, torna ad essere saldamente parallelo.
La musica, l’esperienza musicale, dunque sembra essere il luogo dove viene sospesa l’identità. Questa sospensione, così intesa, permette la percezione dell’esistenza di altre e diverse identità, l’asciando aperto il dubbio che il gioco dello scambio di identità riveli la possibilità inquietante anche dell’assenza di sostanziali differenze identitarie. Ogni individuo scopre, sente, di non essere così speciale , così unico cioè così identitariamente definito. La musica scarta il suo essere significante cioè l’idea di confine individuato. Essa si manifesta come significante senza significato, ma così non va considerata la musica stessa come oggetto, ma è quello che la musica provoca sul soggetto che ne fa esperienza. La musica conduce il soggetto su molteplici piani tutti dfferenti, tutti uguali ogni uno è l’altro. Ogni uno ritorna di continuo in se e nell’altro: ogni uno è molti e molti è ogni uno. Non c’è tempo tutto torna come in Nietsche nella Gaia Scienza. L’eterno ritorno come stallo identitario. L’esperienza musicale favorisce il non attaccamento a qualsiasi identità. Permette di vedere, di sentire da lontano la propria appartenenza identitaria o meglio conduce in stati di coscienza che permettono di oggettivare il sentimento identitario conducendo il soggetto in una sorta di stato preidentitario dunque libero, fragile e comunitario.Per questo la musica spaventa e disturba quelle società che hanno invece bisogno di indurre in identità precise e definite. Identità conducibili a processi chiari e prevedibili, dunque orientabili.
L’identità cui la percezione musicale ci permette di sfuggire è quella simile alla natura degli animali descritta da Rosseau in opposizione alla possibilità di scegliere dell’uomo “un piccione morirebbe di fame vicino ad un piatto di carni prelibate e un gatto su di un mucchio di frutta e grano”(discorso sull’origine e fondamenti dell’uguaglianza tra gli uomini,1755). Qui intendo identità come una forma di prigione del pensiero . L’analogia con Rousseau è solo esplicativa, infatti l’uomo può liberarsi dalle identità restrittive mentre è più difficile che un piccione si incuriosisca e assaggi della carne. Nell’uomo è sempre viva la possibilità di una qualche indeterminazione libera, l’apertura a scelte diverse da identità indotte, la musica, lo stato che essa può idurre, facilita il dominio di tale indeterminazione aprendo momenti di libertà selvaggia.
Lo stato di sospensione cui conduce la musica alimenta la possibilità di ogni separazione. Esso è un luogo in cui si coglie la sospensione in cui si è consapevoli del fatto che per negare la morte bisogna negare anche ogni nascita. L’esperienza musicale, in quanto esperienza, è sempre preludio di una nascita dunque della consapevolezza della morte, è una separazione, è identità sospesa che si carica rinforzandosi verso una nuova e diversa prospettiva. Rinascita: allontanamento e compenetrazione di identità cosciente e autonoma. Autocompenetrazione dei propri limiti e profili , forza per la separazione.

Ulisse, l’eroe del ritorno, della memoria ritrovata è sedotto dalle Sirene, da Circe, poi da Calipso. Tutte loro hanno a che fare con l’amore e con la musica, con luoghi in cui lo scorrere umano del tempo è sospeso o quantomeno trasformato, inconsueto, hanno a che fare con l’immortalità, con l’eterna giovinezza, insomma con l’identià sospesa. La musica appartiene loro come strumento del comunicare. Attraverso la musica, non solo e prevalentemente con le parole, ma la musica, è noto, esse, la Sirene, Circe e Calipso, seducono o tentano di sedurre l’eroe, di dissuaderlo dall’ intento definitore di tornare alle sue radici (Itaca), la sua famiglia (Penelope), la sua memoria futura il suo essere ricordato appunto come eroe, uomo dalle gesta eroiche; cioè la musica è lo strumento che induce sospensione identitaria appunto. Tale sospensione nel viaggio di Ulisse è necessaria. Essa è voluta e favorita dagli Dei. Il curioso Ulisse vuole ascoltare le Sirene. Ulisse ama Calipso e Circe, resta con esse , nell’amore, per lungo tempo: un tempo senza tempo. E’ dunque necessario che l’dentità dell’eroe, perché il suo destino si compia, venga sospesa nel viaggio. Le navi, esse stesse sono la rotta, il mezzo per il cammino, la sopravvivenza in mezzo al mare, si fermano al cospetto delle Sirene, di Circe di Calipso; è la musica che sospende il cammino così da far smarrire la rotta. Quando Ulisse dichiara la propria identità ad Alcinoo, ci narra J.P.Vernent (L’universo, gli Dei gli uomini. Einaudi pag. 124-5), egli stesso prende il posto del canto, ed è così che il re decide, perchè così deve essere, di fare tornare Ulisse ad Itaca. La musica è già qui uno strumento di coscienza identitaria. Gli stati autoritari tendono ad imporre semplificate, false identità collettive nel tentativo di rendere gli individui facilmente orientabili. La consapevolezza identitaria autonoma e autenticamente percepita è d’impedimento a qualsiasi abuso di potere, infatti più è esteso e violento il potere che si vuole esercitare più forte deve essere la semplificazione identitaria. Ogni potere per essere esercitato ha bisogno di identità omologate cioè identità uniche e imposte. Quanto la musica c’entri in tali questioni da essere anche ambivalente emerge, ad esempio, da una semplice esperienza diffusa e comune. Gli inni nazionali nelle competizioni sportive raccordano identitariamente il vincitore, l’atleta, con il pubblico con la nazione d’appartenenza. Così la musica, la sola musica senza il testo, crea una fortissima asse emotiva di raccordo, quasi fisica, concreta, un legame identitario saldissimo ed ipnotico, tanto arcaico quanto attuale nell’esperienza vissuta nel momento presente. Un’asse geografico orizzontale, legato al presente ed un’asse storico legato alla profondità del passato, a radici profonde ed antiche. Anche Platone (Platone Resp. IV, 424 c.) con accortezza: ” si deve guardarsi da modifiche che comportino l’adozione di una nuova specie di musica, perché si rischia di compromettere tutto l’insieme. Non si introducono mai cambiamenti nei modi della musica senza che se ne introducano nelle più importanti leggi dello stato”. Ma torniamo al nostro eroe. Ulisse nel momento stesso in cui prende il posto del canto, quando diventa egli stesso musica, disvela la propria autentica identità e questo, nella sua verità, non può essere che riconosciuto dal re Alcinoo anche se con tristezza per la rinuncia cui va incontro: la perdita di Ulisse stesso. Ancora, l’amore, la nozze dell’eroe Ulisse con la figlia di Alcinoo, non può avvenire nella falsa identità, nella negazione identitaria. Già nel mito solo la sospensione identitaria, la musica, permette l’autentico dispiegarsi identitario. Ulisse dice addio a Nausica come già aveva fatto con Circe e Calipso per fedeltà alla propria autentica radice identitaria: Itaca.

Vi è un legame tra musica, poesia e mitologia. Un legame solido e antico che affonda le sue radici nella pratica della trasmissione orale dell’esperienza emotiva, del sapere e del raccontare. Questa radice comune riguarda naturalmente più da vicino la musica d’interpretazione, in seconda battuta l’improvvisazione e in fine il gesto intuitivo della composizione musicale (per gesto intuitivo non intendo la sola idea spontanea originaria che è alla base di una composizione ma l’agire del compositore nei momenti generativi, sia emotivi che razionali, durante l’attività creativa). Dunque musica e poesia sono originariamente legate al mito, il mito stesso è composto di musica e poesia, non di musicisti e poeti ma di musica e poesia.”Il racconto mitico comporta sempre varianti versioni multiple che il narratore trova a sua disposizione, che sceglie a seconda delle circostanze, del suo pubblico, delle preferenze personali, e dove lui stesso può sottrarre, aggiungere e modificare ciò che gli sembra necessario. Per tutto il tempo in cui una tradizione orale di leggenda è viva, e resta impressa sui modi di pensare e sui costumi di un gruppo, essa cambia: il racconto resta aperto all’innovazione (J.P.Vernant : L’universo, gli Dei gli uomini. Einaudi pag 7). Quanto tutto ciò è simile, è vicino, anzi è improvvisazione ed interpretazione musicale! E quanto è improvvisazione ed interpretazione musicale nel senso di come chi ascolta musica ricostruisce in tempo reale l’emozione e la ragione di un’esecuzione, sia essa improvvisazione esecuzione o nuova composizione, dentro di se attimo dopo attimo nell’esperienza musicale. La trasmissione della musica è dunque sempre orale, ricostruita, reinventata nel senso che è legata all’esperienza direttamente vissuta. E questo momento dell’esperienza vissuta è anche sempre sospensione identitaria utile alla costante e mutevole ridefinizione identitaria stessa. Nel mito il racconto resta aperto all’innovazione è ridefinizione identitaria. L’identità è viva come la cultura orale , quando è disposta alla sua continua ridefinizione, quando è libera di farlo. L’identità procede per ulteriori definizioni, cambiando nelle direzioni più diverse, anche inattese. Ogni volta che si presenta un tentativo per bloccare questo processo cristallizzando una identità sulle altre, sia in un gruppo che all’interno di uno stesso individuo, si è di fronte ad un processo autoritario (non autorevole che è altra cosa).
Ogni identità è tale perché sa riconoscersi, cioè sa delimitarsi in seno ad un contesto: identità è limite. Ogni identità viene definita in relazione ad altre identità dunque è resa resposabile, ciascuno per se in relazione ad altre identità anche esse responsabili. Ogni identità è tale se inserita in un gioco regolato da relazioni tra identità. Essa è indipendente solo in relazione ai propri confini identitari e solo rispettando le regole dei fatti che determinano la convivenza identitaria: “ le regole del gioco conferiscono indipendenza e alla stesso tempo la sottraggono, senza però rilevare tele contraddizione”(Watts citato da Watzlawitck in Guardarsi dentro rende ciechi pag 52 ed.Ponte alle grazie)

La musica, non solo per il noto fatto che possiede le caratteristiche di un linguaggio che comunica al di là del senso delle parole, è arte in cui i segni sembra siano significanti senza significato, cioè trasversali agli oggetti. Dunque non solo per questo, la musica mette in contatto diretto diverse identità ad esempio linguistiche, cioè perché essa è interidentitaria ed interculturale, ma anche perché l’esperienza musicale esercita la sospensione identitaria stessa, come accade nell’esperienza dell’amore, dell’eros, allontana dalle moltitudini identitarie permettendone l’ossevazione esterna, per così dire, dal bordo, e pertanto determina una più trasparente consapevolezza identitaria stessa.
L’esperienza musicale trascina nell’attualità del presente, nell’immediato, le identità passate presentandole innanzi a noi vuote e pure. Svuotate dello specifico contenuto dell’esperienza storica piene, invece, del vissuto pratico dell’esperienza vista tanto da vicino da essere abbagliante e in veloce divenire. L’Identità, in questo senso, diventa risveglio del vissuto passato, non in quanto memoria di questo o quel fatto, ma in quanto presente sentire, costantemente rinnovato e vissuto in divenire: l’esperienza emotiva sciolta dal tempo; l’emozione della ragione che scorre verso ciò che deve ancora accadere. Dunque, l’identità stessa che cerca il proprio orizzonte.
L’identità d’orizzonte, così intesa, non può mai essere vincolata, non può nascere da identità troppo forti e radicate che diventano subito racconto, esperienza ancorata al passato. In tal senso la musica da forma ad una particolare apertura d’identità. Essa ne suggerisce il profilo, l’esperienza musicale diventa dispositivo aperto, è opportunità di identità autonoma e in divenire tra altre identità analoghe. E’ un antidodo possibile, anche se transitorio, contro la catena d’identità imposte e univoche. Attraverso l’esperienza musicale si apre l’esercizio, uno tra diversi esercizi, per praticare l’equilibrio dell’autonomia dalle suggestioni forti organizzate o caotiche, autoritarie.
Dall’orizzonte degli esecutori, dei compositori, degli improvvisatori l’identità musicale è profilo disegnato cioè è definizione di confini e limite. In un’orizzonte valoriale, in tale prospettiva, il limite, la sua conquista si presenta come un fatto positivo. Ogni limite è un confine dato. Detto con Deleuze è un territorio. Ma Deleuze ci invita anche al necessario deterritorializzare.
Per concludere suggerirei di pensare al significato di tre parole. A quali fatti corrispondo cosa normalizzano a cosa obbediscono: Definire-Iidentità-Musica.

Francesco D’Errico
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